Mentre, come sovente accade, le più grandi testate del pianeta rivolgono l’attenzione agli eventi che permettono loro di incrementare (o peggio di lasciare inalterato) il numero delle copie vendute, uno su tutti lo stato della gravidanza di Kate Middleton, ma anche le squallide scappatelle dei calciatori, oppure le scaramucce tra i vari leader di Stato, è stato approvato il documento finale della 18ma Conferenza ONU sul Clima, battezzato Doha Climate Gateway.
Un gateway (testo di passaggio) che conferma il 2° Periodo di impegni sotto il Protocollo di Kyoto per i paesi sviluppati e inaugura un nuovo regime di negoziati per un trattato globale legalmente vincolante sul cambiamento climatico, che richiederà tagli alle emissioni a tutti gli stati membri, da essere firmato entro il 2015. L’accordo – approvato di imperio, suscitando non poche proteste e aprendo un precedente politico che ha fatto infuriare la Russia – ha lasciato molti insoddisfatti per la mancanza di ambizione. Durissimo il commento di Climate Action Network, una rete di oltre 700 organizzazioni non governative internazionali: “Il framework Onu per il clima ha fallito nel trovare soluzioni per tagliare le crescenti emissioni di Co2, ne ha individuato un percorso per individuare una strategia per movimentare 100 miliardi all’anno entro il 2020 per aiutare i paesi più poveri ad affrontare il surriscaldamento globale”.
L’America di Obama, bloccata dal Congresso, non è riuscita – o non ha voluto – mettere a disposizione come richiesto dai paesi meno sviluppati – soldi per il Fondo verde per il Clima (per investimenti low carbon destinati ai paesi poveri) né tanto meno ha modificato gli impegni di riduzione delle emissioni di gas serra (17% entro il 2020 sulla base delle quote del 2005). L’Unione Europea ha concentrato i suoi sforzi su Kyoto 2, ma indebolita dalla recessione non ha saputo mettere sul tavolo impegni precisi, in particolare quelli finanziari. Negativo anche il ruolo ostruzionista di Russia, Polonia, Canada e Nuova Zelanda. Secondo il delegato dell’isola Nauru, un arcipelago a rischio di scomparire per l’innalzamento del livello dei mari, “sono mancati impegni concreti per allocare finanziamenti per i paesi più poveri per affrontare la sfida climatica”. La festa è soprattutto per la firma del Secondo Periodo di impegni nel Protocollo di Kyoto, il trattato che regola il mercato delle emissioni e gli impegni per la riduzione dei gas serra dei paesi industrializzati. Entra de facto in azione dal 1 gennaio 2013 e durerà fino al 2020, quando verrà sostituito dal nuovo trattato. Kyoto2 è un risultato di poco conto a livello globale. Infatti Kyoto1 entrò in vigore nel 2005, sottoscritto da nazioni che rappresentavano almeno il 50% emissioni globali. Oggi gli stati che hanno firmato contano mento del 20% del totale Russia, Canada, Giappone e Nuova Zelanda infatti si sono rifiutati di essere inclusi nel secondo periodo per non danneggiare il mercato interno degli idrocarburi e le strategie energetiche nazionali.
L’Australia ha siglato Kyoto 2 solo perché entro il 2014 legherà il suo mercato delle emissioni alcarbon market europeo, regolato dal protocollo. Per i mercati finanziari la notizia è positiva poiché si salvano i mercati volontari del carbonio, il CDM (un mercato della co2 legato allo sviluppo green nel sud del mondo) e l’EU ETS, il mercato europeo, il più grande di tutti. Ma per gli ambientalisti rimane un impegno insufficiente per poter affrontare seriamente la questione clima. Cosa guadagnerà l’Italia da Kyoto 2? Risponde a il FattoQuotidiano il ministro Corrado Clini, rientrato in Italia prima della conclusione dei negoziati a causa della crisi di governo. “Questo è un quadro d’impegni che aiuterà le imprese che investono in rinnovabili e in efficienza energetica. Tuttavia se la dimensione del mercato rimane solo a livello Europeo, il vantaggio è limitato. Se invece la dimensione in futuro sarà globale, si potranno aprire mercati come quelli di Cina e India”. Il prossimo appuntamento del carrozzone Onu sul clima? Per il 2013 a Varsavia. Ma le speranze, tra molti delegati e ambientalisti che in queste ore stanno lasciando Doha, sono alquanto basse.
Se le nazioni firmatarie del Protocollo in questione non si assumeranno, da subito, la responsabilità di affrontare il più grande problema della storia dell’umanità, non avremo più motivo di scrivere, commentare o batterci per nulla, perché a non esserci più, saremo noi…