Che lo Stato italiano predicasse bene e razzolasse male riguarda una storia antica (almeno quanto la sua). Ma che a diventare il soggetto della “contraddizione esistenziale” fosse qualcosa reputato fino a qualche giorno fa illegale ha del raccapricciante. Stiamo parlando delle slot machine, alimento sostanziale del gioco d’azzardo legalizzato.
È il Paese in cui i partiti della maggioranza chiedono liberalizzazioni, ma bloccano le gare sulle concessioni demaniali. È l’economia dalla quale tutti dicono che lo Stato deve ritirarsi, mentre la Cassa depositi e prestiti (controllata dal Tesoro) moltiplica le sue iniziative a sostegno delle imprese. Solo una settimana fa, Luigi Magistro, direttore generale dei Monopoli dello Stato, aveva detto che sulle slot machine “dovremo intensificare i controlli, ma anche ripianificare la collocazione, evitandone la presenza vicino alle scuole, ai luoghi di culto, agli ospedali”. Semmai – ha continuato – “bisognerà concentrare la presenza nel territorio e limitare al massimo l’introduzione di nuovi giochi”.
Detto fatto. Proprio l’altro ieri le slot machine sono entrate nelle case (ma Magistro aveva dimenticato di comunicarlo…). Da lunedì, più di mille nuovi giochi di modello slot sono legalmente online. Basta introdurre codice fiscale e numero di carta di credito, quindi giocare sul computer dal sofà in soggiorno. Tutto a portata dei ragazzi, anziani, adulti e disoccupati che trascorrono tutto il giorno in casa.
Allo stato attuale, né l’agenzia né il ministero del Tesoro (che la controlla) hanno rinunciato a distribuire 50 nuove concessioni per le slot sul web. In fondo è solo il prosieguo di un aumento dell’offerta di gioco d’azzardo (legale!) che ha sprigionato tassi di crescita cinesi in un Paese che, per il resto, vive una decrescita del Pil fra le più rapide al mondo. E le cifre fanno tremare i polsi… Nelle scommesse legali, infatti, gli italiani hanno speso 15,4 miliardi di euro nel 2003 e 79,8 miliardi nel 2011. È un incremento del 22,8% l’anno, per un fatturato che vale il 5% del Pil e mette il settore fra le prime industrie del Paese. In base ai dati dei Monopoli, in Italia la spesa media in scommesse per abitante maggiorenne è stata di 1.586 euro nel 2011: il 13,5% del reddito. È ormai una delle grandi voci di spesa degli italiani, che nel frattempo tirano la cinghia su tutto il resto. Ogni euro in più speso in scommesse, spesso, è un euro in meno in acquisti di prodotti utili di imprese italiane rimaste oggi senza mercato nel Paese.
Per i conti dello Stato, si tratta di una manna piovuta dal cielo. Le concessioni agli impresari del gioco d’azzardo fruttano circa 8 miliardi l’anno all’Erario, a cui si aggiungono le tasse sulle vincite. In totale si tratta di entrate che riducono il deficit di quasi l’1% del Pil ogni anno. Il problema è che nel 2012, per la prima volta, la crescita delle scommesse sta frenando: saliranno al più del due per cento, mentre le entrate erariali sono per la prima volta in calo di 500 milioni. Facile dunque sospettare che le nuove slot online servano (anche) a incrementare i flussi di cassa per lo Stato. Non solo a sfidare le piattaforme offshore.
Il nostro Governo, insomma, si comporta come se fossero queste le riforme strutturali per risanare l’Italia. Anzi, possiamo ben dire che fa leva sull’ignoranza, la debolezza, la “speranza” del popolo per riempire le sue tasche, lasciando vuote le nostre. Ma, i nostri nonni non ci hanno sempre raccontato che bisogna rispettare e prendere esempio dai più anziani? Bhé, se l’esempio ha a che fare con questa roba allora voglio essere chiamato Peter Pan.
A questo punto mi sembra altresì pertinente prendere in prestito la definizione di etica professionale: “Regole da rispettare nell’esercizio di una determinata professione”. Belle parole, che da queste parti restano tali.
Qualcuno direbbe: “E’ il Gioco, bellezza!” …di Stato, stavolta.