Amici, oggi vi racconto la paradossale politica vietnamita in materia di libertà d’espressione allo scopo di esortarvi a compiere un paragone con la nostra, non così avulsa…
Con almeno 75 prigionieri di coscienza condannati a lunghe pene detentive, quasi tutti processati negli ultimi due anni, il Vietnam si sta velocemente trasformando in una delle più grandi prigioni del Sudest asiatico.
La denuncia è contenuta in un nuovo rapporto di Amnesty International, intitolato “Voci ridotte al silenzio. Prigionieri di coscienza in Vietnam”. L’organizzazione per i diritti umani avverte che il numero dei prigionieri di coscienza potrebbe essere persino superiore ai 75 elencati nel rapporto. In detenzione preventiva o agli arresti domiciliari potrebbero essercene ancora altri.
Ai nostri lettori abbiamo già raccontato la persecuzione giudiziaria subita da attivisti politici, blogger e religiosi di fede cattolica. Oltre a loro, in carcere per aver esercitato la libertà d’espressione sono finiti anche difensori dei diritti umani, promotori di riforme pacifiche e democratiche e attivisti per il diritto alla terra e il diritto al lavoro.
Tra questi ultimi figura Do Thi Minh Hanh, 28 anni, attivista per il diritto al lavoro,condannata a sette anni nel 2010 per aver distribuito volantini a sostegno dei lavoratori di un fabbrica di vestiti che chiedevano un aumento del salario e migliori condizioni di lavoro. È stata picchiata in diverse occasioni da altri prigionieri senza che le guardie intervenissero.
I prigionieri di coscienza vengono spesso sottoposti a lunghi periodi di detenzione preventiva senza poter incontrare familiari e avvocati. Le procedure giudiziarie si collocano ben al di sotto degli standard internazionali, sovente durano poche ore e non contemplano la presunzione d’innocenza.
Questo è stato il caso di un processo celebrato nel 2010 nei confronti di quattro attivisti politici: i giudici si sono riuniti per deliberare solo per 15 minuti, mentre ce ne sono voluti 45 per leggere la sentenza, il ché fa presumere che questa fosse stata preparata in anticipo.
Una volta condannati, i prigionieri di coscienza si trovano in condizioni detentive durissime: talvolta sono posti in completo isolamento e sottoposti a torture e altri trattamenti crudeli, inumani e degradanti.
Mentre la costituzione vietnamita prevede ampie garanzie per la libertà d’espressione, negli ultimi anni una serie di leggi e decreti hanno provveduto a limitare questo diritto.
Il codice penale del 1999 autorizza l’imposizione di decenni di carcere per i reati di “sovversione” e “propaganda” contro lo stato, che vengono quasi esclusivamente usati per punire il dissenso pacifico.
Il 1° settembre di quest’anno, il governo ha introdotto un nuovo decreto che limita fortemente l’uso di Internet e prevede lunghe condanne per chi condivide notizie sui blog e sui social media così come per quelle attività online ritenute una minaccia per la sicurezza nazionale.
Il 30 novembre, prima della fine dell’attuale sessione di lavori parlamentari, l’Assemblea nazionale dovrebbe votare una nuova costituzione, la cui bozza è stata sottoposta nell’ultimo anno a consultazioni popolari senza precedenti.
Tuttavia, secondo Amnesty International la nuova costituzione, per lo meno nella sua attuale stesura, presenta gli stessi problemi della precedente e non aiuterà in alcun modo a proteggere i difensori dei diritti umani e le altre persone a rischio di persecuzione a causa di leggi e decreti restrittivi.
…Se a questa situazione sottraiamo l’elemento del carcere e magari una dose massiccia d’ipocrisia congenita, in Italia accade pressoché la stessa cosa.